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ARKEA Ultim Challenge: è partita la caccia al record sul giro del mondo
I 6 trimarani ultim, condotti in solitario, nella arkea ultim challenge proveranno a migliorare un record che tiene dal 2017 [video].
ARKEA Ultim Challenge: è partita la caccia al record sul giro del mondo I 6 trimarani Ultim, condotti in solitario, nella ARKEA Ultim Challenge proveranno a migliorare un record che tiene dal 2017
Non è un giro del mondo qualsiasi quello che è partito ieri da Brest, denominato ARKEA Ultim Challenge.
Questa folle regata è aperta esclusivamente ai trimarani della Classe Ultim, lunghi tutti 30 metri, autentici mostri da Oceano capaci di volare a 40 nodi, sui foil.
Il percorso della Arkea Ultim Challenge è il classico dei giri del mondo, lasciando a sinistra Capo di Buona Speranza, Leuwin ed Horn, navigando nei 40 gradi sud, per oltre 25 mila miglia da percorrere.
Sono sei i maxi trimarani partiti alla conquista del globo: Edmond de Rotschild di Charles Caudrelier, Banque Populaire di Armel Le Cleac’h, Sodebo di Thomas Coville, SVR Lazartigue di Tom Laperche, Actual di Anthony Marchand e Adagio di Eric Peyron.
A 24 ore dal via la flotta è già al largo del Portogallo, con medie di percorrenza nelle 24 ore che sono già intorno alle 500 miglia.
Il tempo di riferimento da battere è quello di François Gabart stabilito nel 2017, in 42 giorni e 16 ore per il giro del mondo in solitario.
Non è escluso che, con lo sviluppo degli Ultim che c’è stato dal 2017 in poi, questo tempo possa essere sensibilmente migliorato dal trimarano che riuscirà ad arrivare sul traguardo di Brest dopo avere completato il giro del mondo: obiettivo i 40 giorni.
Gli Ultim sono dei trimarani a vela molto complessi, soprattutto dopo lo sviluppo della tecnologia foil che li ha resi ancora più veloci che in passato. Gli skipper però non dovranno pensare solo alla velocità, ma anche e soprattutto a gestire i loro mezzi ed evitare rotture che possano compromettere la conclusione della regata.
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La storia del trimarano B&Q di Ellen MacArthur
B&Q è stato il celebre trimarano progettato da Nigel Irens con il quale la navigatrice britannica Ellen MacArthur nel 2005 conquistò il Trofeo Jules Verne, record del giro del mondo in solitario.
La storia del trimarano B&Q nasce dal sogno di una ragazza. Si chiama Ellen MacArthur e nel 2003 vuole battere il record del giro del mondo in solitario. Il progetto è una specie di follia, prima di tutto perché la MacArthur è una donna di soli 27 anni anche se già una navigatrice esperta visto che due anni prima ha conquistato un secondo posto al Vendée Globe sull’Open 60 Kingfisher. Poi perché è inglese e vuole cimentarsi con un primato, il celebre Trofeo Jules Verne, record del giro del mondo in solitario, che è una sfida tutta francese.
Per battere il record però alla MacArthur serve una barca speciale. Il progetto viene affidato al famoso designer Nigel Irens, già progettista di alcuni dei più veloci trimarani mai realizzati (Fleury Michon, Enza, Fujicolor) e al francese Benoît Cabaret. I due progettisti si ispirano a un trimarano Orma di 60 piedi, velocissimo e più stabile rispetto ai catamarani, soprattutto se condotto in solitario in condizioni estreme. È una scelta azzardata perché all’epoca questa classe di multiscafi è protagonista di una serie di incidenti in tutte le regate del circuito internazionale.
“Me ne frego del comfort, voglio prestazioni”
Alla fine realizzano un prototipo di 16,20 metri di larghezza, 8,3 tonnellate e con una lunghezza totale di 22,90 metri, in modo da compensare il punto debole dei 60 piedi che è la stabilità longitudinale. La superficie velica, invece, viaggia sui 320 metri quadrati, il massimo gestibile da un solitario e si opta per un efficiente albero alare di 30,60 metri di altezza su cui sono inferiti la randa, quattro fiocchi e due gennaker. Gli scafi e le traverse vengono realizzati in sandwich con tessuti pre-impregnati di carbonio e schiuma di Nomex, le manovre mobili sono in kevlar e le vele assemblate con la tecnica 3DL (senza cuciture).
Per il resto tutto è votato alla semplicità, seguendo la teoria “meno c’è, meno si rompe”: lo scafo centrale per esempio adotta una lunga pinna di deriva antiscarroccio, ma non sono previste pinne stabilizzatrici sugli scafi laterali, né hydrofoil. Anche per gli interni le indicazioni della MacArthur sono votate all’essenziale: «Me ne frego del comfort – dice la navigatrice – voglio andare a dormire senza il terrore che la barca si rompa».
Obiettivo: battere il record di Joyon
Il nuovo trimarano viene assemblato in Australia dal cantiere Boatspeed e terminato in appena sette mesi. Il varo della barca, nel frattempo battezzata B&Q-Castorama, avviene l’8 gennaio 2004 a Sydney (Australia), e inizia un intenso programma di test che porta la MacArthur a navigare per oltre 20.000 miglia. Quando tutto è pronto, B&Q fa rotta verso il Nord della Francia per dare inizio ai giochi.
L’obiettivo è battere il tempo di giro del mondo stabilito un anno prima da Francis Joyon sul trimarano Idec in 72 giorni e 22 ore. Il percorso è quello del Vendée Globe: discesa dell’oceano Atlantico con il passaggio del Capo di Buona Speranza, quindi l’oceano Indiano e il Pacifico, per poi doppiare Capo Horn e tornare verso il traguardo.
Lo splendido volo oceanico di Ellen
La partenza avviene il 28 novembre del 2004 e il “volo” oceanico contro il tempo della MacArthur lascia tutti con il fiato sospeso. In vantaggio sul record di Joyon fino a Capo Horn, la giovane skipper incappa in una zona di calma equatoriale al largo del Brasile. Quando la situazione sembra ormai disperata una brezza da Nord Est riaccende la speranza e le consente dopo 71 giorni e 14 ore di tagliare vittoriosamente il traguardo il 7 febbraio del 2005.
La McArthur si impossessa così del primato mondiale più ambito e difficile (poi migliorato a 57 giorni nel 2008 da Francis Joyon ancora su Idec). Un gesto che si riallaccia alla grande epopea dello yachting inglese, quello di Francis Chichester e Robin Knox Johnston. Non a caso viene festeggiata come un’eroina e insignita del titolo di Dame dalla Regina Elisabetta II. Merito suo naturalmente, ma anche di quella barca assolutamente perfetta, disegnata come un abito su misura per lei e per quel record incredibile.
David Ingiosi
Appassionato di vela e sport acquatici, esperto di diporto nautico, ha una lunga esperienza come redattore, reporter e direttore di testate nazionali e internazionali dove si è occupato di tutte le classi veliche, dalle piccole derive ai trimarani oceanici, compresi tutti i watersports.
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Vento e Vele
Barche e skipper della arkea ultim challenge.
Obiettivo: fare meglio di François Gabart e dei suoi 42 giorni, 16 ore, 40 minuti e 35 secondi, record del giro del mondo in solitario stabilito nel 2017 con il trimarano Macif (30 metri di lunghezza). Ci proveranno in sei a bordo di altrettanti trimarani della classe Ultim. Domenica 7 gennaio parte infatti da Brest la Arkea Ultim Challenge che affronta il classico giro attorno ai tre Capi, Buona Speranza (a sud dell’Africa), Leeuwin (a sud dell’Australia) e Horn (punta meridionale del Sudamerica) per tornare nel porto più importante della Bretagna. Il percorso è lungo poco meno di 22.000 miglia (fanno 40.000 km) ed è praticamente lo stesso sul quale si gioca il record del giro del mondo. Dalla baia di Brest i concorrenti dovranno infatti andare a tagliare la linea ideale che va dall’isola di Ouessant (20 miglia a ovest da Brest) a Cape Lizard in Cornovaglia e che appunto segna la partenza del record sul giro del mondo.
Sei barche che si distinguono per anno di costruzione e concezione progettuale. Si va infatti da due Ultim nati prima dell’uscita delle regole della Classe con Adagio (31 metri per 21) varato nel 2014 e affidato a Eric Péron, ad Actual (30 metri per 22) varato nel 2015 con Antony Marchand, a due risultati della regola di Classe (e quindi lunghi 32 metri per 23 di lunghezza) con Gitana 17 (primo Ultim dotato di foil) di Charles Caudrelier e Sodebo Ultim 3 di Thomas Coville varati rispettivamente nel 2017 e nel 2018. Infine, due di ultimissima generazione (e con foil) come Banque Populaire XI di Armel Le Cléac’h e SVR Lazartigue di Tom Laperche scesi in mare uno ad aprile e l’altro a luglio 2021. Ad accomunarli, piccole differenze di dimensioni a parte, le superfici veliche che, se immaginiamo che dovranno essere manovrate da un uomo solo, rendono bene l’idea della sfida di un giro del mondo in solitario con questi trimarani. Si parla infatti, su alberi che vanno da 32 a 37 metri, di 450 metri quadrati di vele nelle andature strette e sopra i 650 metri quadrati nelle andature portanti.
Queste le potenze che dovranno gestire gli skipper che affrontano la Arkea Ultim Challenge venendo da esperienze molto diverse. Thomas Coville (55 anni) nel 2016 stabilì l’allora nuovo record del giro del mondo in solitario e a bordo di un trimarano mentre Armel Le Cléac’h (46 anni) nel 2017 ha vinto il Vendée Globe (il giro del mondo in solitario in monoscafo). Per gli altri, a parte essere a bordo di un Ultim, affrontare da soli calme equatoriali, Quaranta Ruggenti e Cinquanta Urlanti sarà una novità visto che tutti, da Charles Caudrelier (49 anni) a Tom Laperche (26 anni), da Antony Marchand (38 anni) a Eric Péron (42 anni) hanno sì esperienze di regate attorno al mondo ma in equipaggio avendo partecipato (Caudrelier vincendo due edizioni) o alla Volvo Ocean Race oppure alla The Ocean Race 2022-2023.
Tutti però hanno dovuto affrontare un percorso di qualificazione: 2500 miglia con un minimo di 300 miglia da completare di bolina e con condizioni di mare e di vento Forza 5 sulla scala Beaufort. Nulla in confronto a quello che troveranno navigando verso Capo Horn. Quindi appuntamento per mezzogiorno di domenica 7 gennaio, per il via di una regata tutta francese, con skipper francesi e dove ci si può consolare con i pezzi made in Italy, come foil, timoni, bracci di collegamento e tughe, realizzati da Persico Marine per due dei favoriti: Gitana 17 e Sodebo Ultim 3.
Emilio Martinelli
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Viaggi nel mondo
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Vittorio malingri: i record, le sfide e le avventure della leggenda della vela italiana.
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Vittorio Malingri ci ha raccontato cinquanta anni di navigazione tra record imbattuti, avventure in giro per il mondo e un amore per la vela che, ancora oggi, non conosce limiti e confini.
pubblicato 03-03-2021
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Vittorio Malingri ha partecipato a grandi competizioni come la Europe 1 Star e la seconda edizione del Vendée Globe del 1992-1993.
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Figlio del geniale progettista Franco Malingri, nipote dello skipper leggendario Doi Malingri, padre della promessa Nico Malingri e “Fratello di Mare” di Giovanni Soldini , Vittorio Malingri è uno dei più grandi navigatori della storia velica italiana.
Dopo il leggendario giro del mondo a sedici anni con la barca di famiglia, Vittorio Malingri partecipa a competizioni prestigiose come la Europe 1 Star e la seconda edizione del Vendée Globe del 1992-1993. Una passione per la navigazione che trascende nella progettazione e costruzione della storica serie di imbarcazioni dei Moana e in record ancora oggi imbattuti: le 54 ore e 16 minuti della Roma x 2 sul trimarano Spirit nel 1997 e il tempo di riferimento in solitario sulla rotta di Dakar-Guadalupa in classe F20 nel 2008.
Il DNA da avventuriero, ereditato dal padre e dallo zio, lo condivide con suo figlio Nico con cui, tra il 2016 e il 2017, stabilisce il record internazionale F20 in doppio sulle rotte Marsiglia-Cartagine e Dakar-Guadalupa. Un navigatore leggendario che ci ha raccontato cinquanta anni di sfide e avventure segnate da un amore per la vela oceanica che, da tre generazioni, non conosce limiti e confini.
"Ho iniziato da bambino con mio padre e mio zio che erano dei veri esploratori del tempo. Navigare è una passione e uno sport che ti entra dentro", Vittorio Malingri.
Come nasce la passione per la vela nella famiglia Malingri?
Mio padre e i suoi amici hanno vissuto tantissime avventure immersi nella natura. Nel 1957 ad esempio hanno risalito il Nilo e disceso il Congo. Quella era la loro vita. Al tempo venivano chiamati avventurieri per il loro smisurato amore per la natura in ogni sua declinazione. Vivevano in modo semplice il concetto di avventura. Ma tutto è cambiato quando hanno scoperto che, in barca a vela, potevano portare la famiglia in tutto il mondo. Hanno comprato così una vecchia barca di legno su cui abbiamo iniziato a navigare tra Caraibi, Panama, Pacifico, Australia e Indonesia…
Che cosa significa navigare per te?
Ho iniziato da bambino con mio padre e mio zio che erano dei veri esploratori del tempo. Navigare è una passione e uno sport che ti entra dentro. Da piccolo avevo tanta fantasia e leggevo libri di avventure: da Emilio Salgari a Jules Verne, viaggi di ogni tipo sulla Terra e sulla Luna. Il DNA e la barca a vela ci hanno portato a esplorare tutto il mondo. Nel frattempo mio zio ha iniziato una carriera parallela nelle regate e ha fondato la scuola di Caprera avviando le prime navigazioni oceaniche dei tempi moderni. A undici anni, quando li ho visti partire per Londra per il primo giro del mondo in equipaggio, ho deciso che avrei fatto quella vita lì.
Quali sono i tuoi primi ricordi in mare?
Sono tantissimi i ricordi in mare… parliamo di tutta una vita! Un’estate ero a Porto Venere sdraiato sul ponte della barca. A un certo punto è caduto l’albero ma l’ho messo in sicurezza con un’azione veloce. Questa piccola sfida mi ha restituito il senso di avventura e l’importanza di fare la mia parte. In mare, in montagna o nel deserto la natura è sempre in agguato e bisogna essere pronti ad affrontare ogni imprevisto.
Come si progetta e costruisce una barca a prova di oceano?
Durante il giro del mondo del ’78, mio padre ha girato dei filmini in Super 8 che abbiamo riutilizzato nella serie “Malingri intorno al mondo”. Una serie in dieci puntate che è stata trasmessa su tutte le tv private accompagnata dall’ormai celebre “Maracaibo” scritta su misura per noi. Un evento che ha trasformato la vela e ha alimentato la voglia di oceano in Italia. Siamo diventati un punto di riferimento. La gente ci ha iniziato a chiamare per sistemare la barca. Abbiamo aperto uno studio di consulenza e trasferimento di imbarcazione e abbiamo iniziato a costruire delle barche su misura per la vita di mare.
Dalle avventure con tuo padre Franco a quelle con tuo figlio Nico, quanto è cambiata la vela oceanica in tre generazioni di navigatori?
A casa mia la vela era un momento speciale da vivere in famiglia. Ma eravamo anche attirati dalla parte agonistica. Io e Giovanni (Soldini) avevamo il sogno di affrontare la vela estrema partecipando a grandi regate. Prima nella vela oceanica contava moltissimo l’uomo, la tenacia, l’esperienza e l’avventura mentre oggi è una questione di team, progettazione e budget. Credo si sia persa l’importanza di emozionare le persone attraverso quei racconti di imprese leggendarie che hanno permesso alla vela oceanica di emergere in tutto il mondo.
Hai definito Giovanni Soldini “fratello del mare”. Che cosa intendi?
Io e Giovanni siamo “fratelli” sin da piccoli. Siamo stati tra i primi a fare una serie di cose e siamo stati molto amici anche da avversari. Abbiamo dormito a bordo alla partenza delle regate. Abbiamo vissuto gomito a gomito la costruzione delle barche scambiandoci tante idee e conoscenze.
Il DNA da avventuriero, ereditato dal padre e dallo zio, lo condivide con suo figlio Nico con cui stabilisce il record internazionale F20 in doppio sulle rotte Marsiglia-Cartagine e Dakar-Guadalupa
Da poco si è conclusa la nona edizione del Vendée Globe con l’ottimo risultato di Giancarlo Pedote. Che ricordi hai della seconda edizione del 1992-1993? E quale è stata l’evoluzione nel tempo dell’Everest dei mari?
Le prime edizioni del Vendée Globe erano segnate da veri navigatori e veri marinai, non dai team. C’era inoltre molta meno tecnologia a disposizione: oggi ci sono i satelliti per individuare gli iceberg, prima in mare eri da solo. Mi sono ritirato dalla seconda edizione perché mi si è rotto il timone vicino Capo Horn. Durante la partenza c’è stata una tempesta micidiale. Dopo qualche giorno, ho rotto un pezzo di barca quindi sono tornato indietro e sono ripartito. Sono stato in mare ottantanove giorni. Ricordo onde enormi, iceberg e tanti pericoli come quando sono caduto in mare mentre la barca andava. È stata davvero un’avventura durissima ma molto coinvolgente. Potevo fare qualsiasi cosa perché avevo raggiunto un livello psicofisico pazzesco. Ricordo ancora che salivo sull’albero della barca solo per la gioia di guardare gli albatros da una nuova prospettiva.
Hai esplorato i mari di tutto il mondo. Quali sono le conseguenze del cambiamento climatico sul nostro pianeta?
Ho visto un mondo completamente diverso. All’epoca i rifiuti venivano scaricati direttamente in mare. Ma durante la nostra partecipazione al Vendée Globe facevamo già attenzione a non disperdere i materiali nell’acqua. Mi sono trovato a navigare tra plastiche e microplastiche. L’inquinamento oggi è mostruoso e anche il riscaldamento climatico si percepisce dalle temperature completamente sballate a cui noi e tante specie siamo costretti ad assistere.
In Italia oltre il 38% dei giovani della Green Generation lotta per l’ambiente. Come si può rendere la navigazione più sostenibile?
La navigazione in sé non è una grande fonte di inquinamento. Ma lo è sicuramente la produzione delle barche tra gas, polveri e altro. Purtroppo la gente viaggia ancora con decine di bottiglie di plastica di acqua in barca. Noi siamo sempre stati abituati a mettere l’acqua nel tubo del serbatoio. C’è sempre più plastica e sempre meno pesci in mare…
Qual è il futuro della vela in Italia?
La passione di vivere in mezzo alla natura e la possibilità di affittare le barche ha avvicinato tantissime persone alla vela. La vela sportiva d’alto livello invece dipende da sponsor e aziende. La difficoltà vera non è lo sport ma la situazione scatenata dalla pandemia di coronavirus. Inoltre la vela deve affrontare la concorrenza di altri sport di avventura estrema che sono molto meno costosi ma altrettanto affascinanti e imperdibili.
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Vela, nuovo record del mondo in solitario
Il precedente primato è stato battuto di 14 giorni, il francese francis joyon, 51 anni, ha girato il pianeta sul suo trimarano in 57 giorni e 13 ore.
Francis Joyon sul suo trimarano prima della partenza (Afp) |
14 GIORNI - Il record precedente, stabilito nel 2005 da Ellen MacArthur (71 giorni, 14 ore, 18 minuti e 33 secondi), è stato migliorato di 14 giorni.
20 gennaio 2008 (ultima modifica: 21 gennaio 2008)
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Oggi da Brest inizia la sfida di sei velisti su altrettanti trimarani giganti: i pozzetti sembrano astronavi
Uno dei sei trimarani in gara, il Maxi Edmond de Rothschild, dello skipper Charles Caudrelier, 49 anni
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Groupama 3, record al Trofeo Jules Verne e alla Route du Rhum
Groupama 3 è nato nel 2006 dopo 130.000 ore di lavoro. Un trimarano da regata più piccolo rispetto ai suoi predecessori, chiaramente ispirato a Groupama 2. Progettata per i record oceanici, la sua punta di diamante è il Trofeo Jules Verne. Ecco la storia del trimarano di Franck Cammas. Questo articolo fa parte di un reportage su uno dei trimarani di maggior successo della storia.
Un maxi-trimarano, una vera e propria sfida tecnologica e sportiva
Nel 2004, Groupama ha annunciato la costruzione di un trimarano gigante per Franck Cammas , progettato per i tentativi di record oceanici. Nel mirino, il Trofeo Jules Verne . In un periodo in cui l'industria dell'armamento era in piena attività, Groupama voleva costruire una barca di dimensioni ragionevoli, il più piccolo trimarano in grado di battere Arancione II (Bruno Peyron ha vinto il Trofeo Jules Verne a bordo nel 2005).
Gli architetti Marc Van Peteghem e Vincent Lauriot-Prévost hanno progettato il Groupama 3, lungo 31,50 metri. La costruzione è iniziata nel 2005 presso il cantiere Multiplast di Vannes. Dopo quasi 130.000 ore di lavoro, la barca è stata varata il 7 giugno 2006.
Durante la presentazione del progetto, Franck Cammas lo ha descritto come "un trimarano di media potenza, leggero, ma comunque abbastanza lungo da essere sicuro nei mari del sud. La potenza è ottenuta grazie alla sua larghezza, mentre la leggerezza è il risultato dell'ottimizzazione della struttura, della razionalizzazione dell'equipaggiamento e del layout e di una costruzione accurata."
Il concetto di Groupama 3 si ispira più ai trimarani di 60 piedi Orma, e in particolare al suo "fratellino" Groupama 2, che ai giganti precedenti, più pesanti e progettati per affrontare il profondo Sud. L'Orange II (36,80 m) è formidabile con mare grosso, ma fatica con aria leggera e brezze moderate.
"Una barca più corta, ma più manovrabile, perché nel programma dei record c'è sicuramente il Trofeo Jules Verne, ma anche altri record e un giorno ci saranno delle regate". È chiaro che in questo caso l'opzione di avere una barca abbastanza versatile era più interessante" afferma Vincent Lauriot Pévost.
Il Groupama 3 è più versatile: va quasi altrettanto veloce in condizioni di tempo pesante, mentre è più a suo agio in condizioni più leggere. Infine, il trimarano è il primo Multi di grandi dimensioni a essere dotato di foil per navigare intorno al mondo. Questo concetto è stato utilizzato in precedenza sull'Orma, ma solo sull'Atlantic.
Vincent Lauriot-Prévost, uno dei progettisti del trimarano di Franck Cammas all'interno dello studio d'architettura VPLP, spiega l'approccio che ha prevalso nell'immaginare Groupama 3: "La priorità era quella di progettare un multiscafo che potesse essere gestito da un equipaggio di dieci persone e quindi di non seguire la logica della lunghezza che era in vigore: il Groupama 3 non è quindi un maxi multiscafo! Si tratta di un trimarano che si ispira fortemente anche al Groupama 2, il 60 piedi Orma: con l'adozione dei foil e l'installazione di tre timoni, con il suo pozzetto aperto e ampio, con un piano velico proporzionalmente moderato. Abbiamo quindi optato per una barca relativamente piccola, piuttosto leggera, evolutiva e molto reattiva. La disposizione del ponte consente all' equipaggio di manovrare rapidamente per adattare le vele alle mutevoli condizioni, al fine di sfruttare costantemente il potenziale del trimarano .
Poiché il programma di record comprendeva principalmente il Trofeo Jules Verne , abbiamo dovuto tenere conto del parametro "mari del sud": i foil sono molto avanzati per sollevare la barca , il bordo libero è importante per evitare l'impantanamento e l'altezza dell'albero limita le variazioni di assetto. L'equilibrio sotto vela è molto più sicuro che su un Orma di 60 piedi..."
Il Groupama 3 è leggero, ma moderatamente coperto, con un pozzetto aperto e un layout di coperta molto arioso, sobrio se non spartano negli allestimenti interni. La nuova barca di Franck Cammas si distingue rispetto al catamarano di riferimento.
I record prima del Trofeo Jules Verne
Prima di affrontare il Trofeo Jules Verne , Franck Cammas e il suo equipaggio stanno conducendo una campagna di record sull'Atlantico e hanno ottenuto alcuni successi: Rotta della Scoperta (Cadice-San Salvador) nel maggio 2007, Miami-New York nel giugno 2007, Nord Atlantico e 24 ore record nel luglio 2007.
I suoi record hanno rafforzato Groupama 3 nella ricerca del Trofeo Jules Verne . Così, il 24 gennaio 2008, il trimarano è partito per il suo primo tentativo. Il 18 febbraio, tuttavia, si capovolse al largo della Nuova Zelanda a causa della rottura di un galleggiante, mentre aveva un giorno di vantaggio sul tempo di riferimento dell'Orange II.
L' equipaggio è stato salvato e la barca è stata rimorchiata in Francia. I danni erano ingenti e un importante refit ha permesso di ricostruire il Groupama 3 in modo identico, utilizzando gli stessi stampi. Ad eccezione dei carri, che sono stati riprogettati e ricostruiti.
Il 5 novembre 2009, il trimarano ha fatto un secondo tentativo, ma un danno strutturale (rottura del collegamento tra il braccio di poppa e il galleggiante di sinistra) al largo del Sudafrica ha fatto fallire le speranze di Cammas e del suo equipaggio .
Record sul Trofeo Jules Verne
Il 31 gennaio 2010, Groupama 3 parte nuovamente all'attacco del Trofeo Jules Verne . A pochi giorni dalla fine ufficiale del periodo di stand-by, Groupama 3 parte per un nuovo tentativo, che si preannuncia difficile a causa delle condizioni meteorologiche tutt'altro che ideali. Molto indietro rispetto al tempo di riferimento stabilito da Orange II nel 2005 (50 giorni 16 ore 20 minuti e 4 secondi), Groupama 3 ha battuto il record del Trofeo Jules Verne grazie a un incredibile arrivo tra il secondo passaggio dell'equatore e il traguardo. Il 20 marzo 2010, Franck Cammas e il suo equipaggio hanno stabilito un nuovo record in 48 giorni, 7 ore, 44 minuti e 52 secondi. Sono diventati i settimi detentori del Trofeo Jules Verne , inaugurato nel 1993.
Caratteristiche tecniche della barca per la Route du Rhum
- Altezza dell'albero: 33,5 m
- Superficie velica: 411 m2 sopravento, 678 m2 sottovento
- Attrezzature : Possibilità di azionare alcuni argani pedalando
- Equipaggio: 1
Cammas e la Route du Rhum
Nel 2010, Franck Cammas ha accettato la sfida di vincere la Route du Rhum, in solitaria sul suo trimarano di 31,50 metri. Vengono quindi apportate delle modifiche per la navigazione in solitaria. Per l'occasione, la barca è stata alleggerita (2 tonnellate in meno, da 18 a 16 tonnellate), l'albero è stato accorciato, il piano di coperta è stato rivisto e nel pozzetto è stato installato un telaio da bicicletta per bilanciare gli sforzi di terzarolare o regolare le vele, tra la parte superiore e inferiore del corpo. Ha vinto a Pointe-à-Pitre in 9 giorni 3 ore 14 minuti 47 secondi, davanti a Francis Joyon e Thomas Coville .
L'elenco dei premi di Groupama 3
2006: record di percorso di scoperta 7 d 10 h 58 min
2006: Miami/New York record 1 d 11 h 5 min
2007: record di traversata del Nord Atlantico 4 d 3 h 57 min 44 s
2007: record di distanza percorsa in 24 ore 794 miglia a 33,08 nodi
2008: ritiro al Trofeo Jules Verne in seguito a un rovesciamento
2010: record di traversata del Mediterraneo 17 h 8 min 23 s
2010: record del Trofeo Jules Verne in 48 d 7 h 44 min 52 s
2010: 1° alla Route du Rhum
Crediti fotografici: Yvan Zedda
GIRO DEL MONDO Storie di record e di miti, da Gabart a Slocum
- Marzo 16, 2018
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Il 17 dicembre, una volta tagliata la linea di traguardo immaginaria vicino all’isola di Ouessant, i n Bretagna (da dove era partito il 4 novembre 2017 scorso), Gabart in poche parole ha riassunto il suo stato fisico: “Non faccio una doccia da quando sono partito, mi sento un animale selvatico, non dormo da settimane, mi nutro di liofilizzati da un mese e mezzo. Ho navigato sempre al limite e ora ho male dappertutto. Fatica e dolore vanno a braccetto. Sono sfinito”.
Se a dirlo è lui, uno dei velisti oceanici più forti al mondo, già vincitore del Vendée Globe (giro del mondo in solitario a bordo di IMOCA 60) nel 2013, capite bene che genere di impresa titanica sia una circumnavigazione del globo.
Gabart, che in Francia è una celebrità nazionale, soprannominato il “biondino degli oceani”, ha migliorato di ben sei giorni il precedente primato stabilito dal conterraneo Thomas Coville (49 giorni e 3 ore a bordo del maxi trimarano Sodebo) l’anno precedente, che a sua volta aveva migliorato i 57 giorni di Francis Joyon (su Idec Sport) nel 2008.
Il giro del mondo ultraveloce in solitario senza scalo è una questione tutta francese. Ma è solo uno dei “rami” in cui è declinata quella che per molti marinai è l’avventura della vita: lo si può affrontare con estrema lentezza, a tappe, contro i venti dominanti (ovvero da est verso ovest), in equipaggio, a bordo di barche microscopiche, ispirati dal desiderio di staccare completamente la spina.
Ma quando è iniziato tutto ciò? Quando si è iniziato a navigare intorno al mondo con l’idea di lanciarsi in un’avventura prima che essere spinti da motivazioni meramente commerciali (leggi: di conquista)?
In principio ci fu Joshua Slocum : dopo aver perso suo moglie e la sua barca, arenata sulle coste del Brasile, maturò l’idea di compiere il giro del mondo a vela in solitario , impresa mai tentata prima da nessun altro uomo.La portò a termine tra il 1895 e il 1898 sullo Spray, uno sloop prima adibito alla pesca delle ostriche che lui stesso aveva rimesso a posto.
Pensateci: lo Spray era una piccola barca (lunga 11,20 metri, larga 4,32 e pesante nove tonnellate), che impiegò tre anni, due mesi e due giorni per circumnavigare il globo a tappe. A spanne, 27 volte il tempo di Gabart! Slocum fu considerato un eroe per breve tempo, poi la stampa se ne dimenticò. Perennemente insoddisfatto, se non negli infiniti spazi oceanici, 14 novembre 1909 partì per l’ultimo viaggio verso le Indie occidentali e non fece più ritorno.
Ci vorranno più di 60 anni affinché un velista solitario ci riprovi, ci riesca e questa volta diventi un’icona dello yachting univeralmente riconosciuta, con tanto di nomina a baronetto da parte della Regina Elisabetta. Stiamo parlando di Francis Chichester, che a 65 anni suonati circumnavigò il globo in solitario sul suo Gypsy Moth IV doppiando i tre grandi capi (Buona Speranza, Leeuwin e Horn), impiegando 274 giorni tra il 1966 e il ’67. Il primo grande navigatore dell’epoca contemporanea, il primo a riuscire nell’impresa (Slocum aveva impiegato tre anni ma senza doppiare tutti i capi).
Era nata l’avventura “sportiva”, quella che continua ancora oggi con regate mitiche come il Vendée Globe , la Volvo Ocean Race (ex Whitbread, ovvero il giro del mondo in equipaggio a tappe) e le più “dilettantistiche” Clipper Race e Global Ocean Race. Alcuni nostalgici sostengono che la vela oceanica di oggi non abbia più lo stesso fascino di una volta (gli stessi che “ma quale Alonso, viva Nuvolari!”). Ma che ci provino a non chiudere occhio per settimane, volando sulle acque a 27 nodi, circondato dall’oceano, come ha fatto Gabart. Qui sotto, vi raccontiamo otto giri del mondo entrati nella storia.
OTTO GIRI DEL MONDO (O QUASI) ENTRATI NELLA STORIA
Modello | Cantiere Costruttore | Lunghezza (M) (LOA) | Anno di Progetto | ||
---|---|---|---|---|---|
J-Boats | 10.52 | 1995 | |||
J-Boats | 12.09 | 1994 | |||
J-Boats | 16.05 | 1996 | |||
J-Boats | 7.32 | 1977 |
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4 commenti su “giro del mondo storie di record e di miti, da gabart a slocum”.
Questo articolo è scritto con misura e può insegnar qualche cosa alle nuove generazioni. Può insegnare che per fare questo genere di cose non basta essere preparati tecnicamente, fisicamente e mentalmente. Bisogna essere cresciuti in un ambiente in cui ci sia questo tipo di cultura, bisogna aver maturato l’esperienza che serve ed essere determinati a “fare” l’impresa. Bisogna poter disporre delle tecnologie necessarie, bisogna avere Sponsor che finanzino il tutto e un servizio di supporto a terra che ti segua 24/24. Queste sono sfide organizzative, tecniche e tecnologiche prima ancora di essere sfide di singoli. E’ toccato a Gabart, potevano esserci degli altri e altri ce ne saranno dopo di lui. Oggi questo approccio è possibile solo in Francia, ma solo per pochi eletti e per poche volte nella vita. Gabart è un atleta professionista che certamente non opera in un aurea di romanticismo. Qui siamo fuori dal concetto di “Marineria classica”, tanto caro dalle nostre parti. Romantici sono quelli che leggono Moitessier, sognano e magari si buttano in avventure per ambizione o spirito di emulazione. In pochi anni è cambiato un mondo, basta confrontare le frasi riportate di Gabart (uno pagato per far l’impresa) e Chichester (che l’impresa l’ha fatta per se). Al prossimo record dunque e al prossimo…….. Gabart.
Credo abbiate scordato Sir Blyth Chay che ha circumnavigato con British Steel contro vento
The Real Person!
Buonasera Antonio, non era nostra intenzione compilare un compendio (ne mancano tanti, da Joyon a Coville, da Fogar a Ellen McArthur. Abbiamo selezionato alcune storie significative… di chay blyth ne parlammo qualche tempo fa “tramite” british steel: https://www.giornaledellavela.com/news/2017/08/16/british-steel-barca-chay-blyth/
Buon Vento, Eugenio Ruocco, l’autore dell’articolo
Fantastico viaggio nella storia della vela. Ottimo articolo, grazie!
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Il trimarano del giro del mondo da record è in vendita, si chiama Brigitte Bardot
- Settembre 5, 2020
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Brigitte Bardot, trimarano in vendita
Trimarano Brigitte Bardot, una barca davvero particolare
- LT/REFIT: 1998
- Builder: Vosper Thornycroft
- Length: 33.17 m (108’10”)
- Beam: 14.07 m (46’02”)
- Draft: 2.21 m (7’03”)
- Gross Tonnage: 95
- Hull: Fiberglasss/GRP
- Engines: 2 X Cummins (500HP)
- Generators: 1 X Onan (14KW) – 1 X Kohler (16KW)
- Cruising Max Speed: 22 Knots (Cruising)
- Max Speed: 27 Knots
- Cruise range: 3.500 nm
- Exterior Designer: Nigel Irons
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Julien Alfred: gioia, sacrificio e motivazione della campionessa Olimpica dei 100 metri · Atletica
Dall'abbandono del suo amato Paese in tenera età al trionfale ritorno a Saint Lucia dopo aver battuto atlete del calibro di Sha'Carri Richardson nella gara regina di Parigi 2024: la storia di Alfred è stata piena di ostacoli prima di diventare la donna più veloce del pianeta.
Circa 335 milioni di persone vivono negli Stati Uniti , il Paese che ha prodotto il maggior numero di campionesse Olimpiche dei 100 metri femminili.
La Giamaica , la nazione in cui sono nati tutti gli ori Olimpici dei 100 metri da Beijing 2008 a Tokyo 2020 , ha una popolazione di poco più di 2,8 milioni di abitanti .
Ma a Parigi 2024 , Julien Alfred, che ha conquistato la vittoria nella gara di atletica proveniva da Saint Lucia, un'isola caraibica di appena 180.000 abitanti .
E naturalmente non si è limitata a battere le migliori statunitensi e giamaicane. La vittoria nella capitale francese le è valsa il titolo di donna più veloce su un pianeta di oltre 8 miliardi di persone .
“Sono una Luciana orgogliosa per sempre”, ha dichiarato la 23enne in un'intervista a Olympics.com , riflettendo sulla conquista della prima medaglia Olimpica nella storia di Santa Lucia. “È sempre un piacere rappresentare il mio Paese sul palcoscenico globale e mettere la mia bandiera sulla mappa, il mio Paese sulla mappa, è sempre una sensazione incredibile”.
Sebbene Alfred sia chiaramente orgogliosa del suo oro Olimpico contro ogni pronostico, è il periodo trascorso ad allenarsi da adolescente negli Stati Uniti e in Giamaica - i tradizionali terreni di coltura dei Campioni - che l'ha trasformata nell'atleta di livello mondiale che è oggi.
"Uno dei motivi per cui sono andata in Giamaica era la cultura dello sprint”, ha detto. Shelly-Ann Fraser-Pryce , Usain Bolt , Elaine Thompson-Herah , tutti questi atleti straordinari... Volevo far parte di quella cultura."
“E quando si sente parlare di Giamaica, si parla di sprint, di atleti di alto livello. Così ho deciso, insieme al mio allenatore d'infanzia e a mia madre, di andare in Giamaica, di venire ad allenarmi e di continuare la mia carriera nell'atletica.”.
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Se gli allenamenti in Giamaica e, successivamente, nel sistema collegiale statunitense con i Texas Longhorns, hanno contribuito a trasformare il talento grezzo di Alfred in un bagaglio di competenze in grado di competere sul palcoscenico mondiale, i frutti del suo lavoro sono anche il risultato di veri sacrifici .
Lasciare gli amici, la famiglia e la sua amata isola natale per inseguire un sogno lontano ha richiesto coraggio e un tipo di dedizione che molti avrebbero rifiutato.
Dopo tutto, diventare la donna più veloce del pianeta non è un compito facile.
“Il sacrificio di lasciare la mia famiglia in tenera età, a 14 anni, per inseguire i miei sogni, è stata sicuramente una decisione difficile per me”, ha spiegato.
Ma la distanza è stata solo una delle difficoltà che un'emergente Alfred ha dovuto affrontare quando ha iniziato il suo viaggio verso le più alte sfere dello sprint.
“Anche la scomparsa di mio padre nel 2013 ”, ha risposto quando le è stato chiesto quale sia la sfida più grande che ha affrontato nella sua carriera fino ad oggi. “In quel periodo ho smesso di praticare l'atletica per il lutto che mi ha colpita.
“E gli infortuni . Anche gli infortuni hanno sicuramente influenzato il mio percorso. Ma mi hanno reso più forte. Ci sono state così tante cose che non posso sceglierne una, ma credo che tutte le sfide che ho affrontato mi abbiano preparato per quello che verrà nella mia vita”.
- Atletica leggera, tutti i record del mondo: l'elenco completo
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Un ritorno a casa indimenticabile: Santa Lucia accoglie la sua prima campionessa Olimpica
Anche se la vita sportiva di Alfred l'ha portata lontano dalla sua amata Santa Lucia, la felicità che ha portato alla sua nazione quando ha vinto l' oro Olimpico è difficile da immaginare.
Se il ricordo dell'abbandono dell'isola è una delle sue sfide più grandi, il ritorno dopo la vittoria a Parigi sarà qualcosa che ricorderà per sempre.
“È stato davvero travolgente”, ha raccontato l'accoglienza da eroina che ha ricevuto quando è tornata sull'isola dopo la fine della stagione a settembre. “Mi sono sentita amata e sostenuta dai miei concittadini di Santa Lucia. Non mi aspettavo certo di ricevere l'amore che mi hanno riservato. Ma nel complesso è stato davvero emozionante: sono stati quattro giorni straordinari tornata in patria e mi sono davvero goduta i festeggiamenti ”.
Se da un lato l'accoglienza ricevuta da Alfred è stata la prova di quanto i suoi connazionali siano orgogliosi di lei, dall'altro sono in atto piani per far sì che l'isola non dimentichi mai le storiche imprese della campionessa Olimpica.
Dopo che il governo del Paese ha dichiarato il 27 settembre 2024 “Giorno di Julien Alfred” , un'altra onorificenza è stata conferita alla più famosa sportiva di Santa Lucia.
“ La Millenium Highway sarà ribattezzata con il mio nome ”, ha detto Alfred a proposito del chilometro di strada che si snoda a nord-ovest dell'isola.
Molto probabilmente non sarà l'ultimo memoriale che celebrerà il più grande risultato sportivo nella storia della nazione.
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Cosa motiva Julien Alfred in questa nuova fase della sua carriera?
L'attuale scena dello sprint femminile è una delle più veloci e competitive della storia. Questo non solo rende la vittoria di Alfred a Parigi ancora più impressionante, ma dimostra anche quanto dovrà essere preparata per mantenere il titolo di “ donna più veloce del mondo ”.
Ma se Sha'Carri Richardson , Shericka Jackson e altre non vedono l'ora di battere Alfred nell'imminente stagione dei Campionati del mondo, la santa luciana è motivata da molto di più delle rivali che la affiancano sulla linea di partenza.
“Per me si tratta solo di arrivare al punto in cui voglio arrivare, di lavorare duramente per raggiungere questo obiettivo, di mettere il mio Paese sulla mappa, di dimostrare a me stessa che appartengo ai grandi atleti”, ha spiegato, prima di aggiungere: “La mia motivazione è quella di essere la migliore al mondo, di essere la migliore me stessa, la migliore atleta possibile e di dimostrare a me stessa che il mio posto è qui. Questa è la mia fonte di motivazione.”.
E cosa risponderebbe a chi insinua che il decennale record di 10.49 secondi sui 100 metri di Florence Griffith-Joyner potrebbe passare nelle sue mani?
“Non è nella mia lista”, ha detto, prima di rivolgere la sua attenzione agli obiettivi futuri che ancora la motivano.
“Qualunque sia il momento in cui si vince un oro Olimpico o un Campionato del mondo, allora così sia”.
- Cosa hanno fatto gli atleti Olimpici nelle settimane successive ai Giochi di Parigi 2024?
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Record per la Bugatti W16 Mistral: è la spider più veloce al mondo
L'ultima stradale di molsheim con il w16 quadriturbo tocca i 453 km/h: nessuna vettura scoperta ad oggi era mai andata così forte.
Il record di vettura spider più veloce al mondo torna a Molsheim con la W16 Mistral, che, guidata dall'esperto Andy Wallace (già autore dei primati di McLaren F1 e Bugatti Chiron Super Sport) ha fatto registrare una velocità massima pari a 453,91 km/h . L'ultima hypercar omologata per la strada a montare un propulsore W16 batte così la Hennessey Venom GT Roadster , che si era a sua volta imposta sulla Bugatti Veyron Grand Sport Vitesse raggiungendo i 427 km/h. Questo nuovo primato si aggiunge al fornito palmarés di Bugatti, che attualmente detiene anche il titolo di auto più veloce al mondo con la Chiron Super Sport 300+ , da 490,48 km/h.
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esemplare unico
Ogni esemplare di Bugatti W16 Mistral è naturalmente unico, trattandosi di una serie limitata di 99 esemplari con possibilità di personalizzazione pressoché infinite. Quello impiegato nel test, in particolare, adotta una carrozzeria in fibra di carbonio a vista con sezione inferiore in "Arancio Jet". Una livrea che "veste" le Bugatti da record sin dal primato della Veyron Super Sport , che nel 2010 era divenuta l'auto più veloce al mondo toccando i 431 km/h . Valutato a 14 milioni di euro , questo speciale esemplare della Mistral appartiene ad un collezionista indiano, insieme a tutte le altre Bugatti entrate nel Guinness dei primati.
Bugatti dice addio al motore W16 con la superba Mistral
le parole del ceo
Mate Rimac, fondatore dell' omonima azienda di hypercar elettriche e attuale Ceo di Bugatti, contestualmente al record dichiara: "Sin dalla fondazione di Bugatti nel 1909, il costruttore si è posto l'obiettivo di rappresentare l' apice di performance, eleganza e lusso . Le Bugatti da record hanno sempre rappresentato il massimo in termini di velocità e potenza, conquistando nuovi traguardi e continuando a migliorarli. Siamo immensamente orgogliosi del risultato ottenuto dal nostro team, un traguardo definito dalla passione e dalla ricerca della perfezione".
Bugatti Tourbillion: com'è fatta la prima hypercar ibrida della casa francese
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Private equity, ottobre da record con 48 operazioni: ecco le principali del mese
Cresce la presenza degli operatori internazionali in italia, cui fa capo il 56% degli investimenti. prodotti per l’industria e cleantech i settori più gettonati dai fondi. lo studio pem-aifi.
Ultim'ora news 14 novembre ore 14
Il private equity italiano mette il turbo e archivia il mese di ottobre, il migliore dall’inizio di quest’anno, con 48 operazioni andate in porto . Considerando il raffronto tra i 10 mesi dal 2022 a oggi, ottobre 2024 è stato il secondo miglior mese della serie storica: lo batte solo luglio 2023, quando erano stati chiusi 49 deal. Nel corso di quest’anno sono finora stati realizzati 355 investimenti, l’8,5% in più rispetto al 2023 e il 4% in più rispeto al 2022.
Le ragioni del successo
I dati emergono dall’Osservatorio Pem di Liuc-Business School, realizzato in collaborazione con Aifi e con il contributo di Advant Nctm, Deloitte, Equita , Esw Europe, Fondo Italiano d’Investimento sgr e Riello Investimenti sgr. I numeri di ottobre «sottolineano principalmente due aspetti», afferma Andrea Tomaschù, amministratore delegato di Riello . «Da un lato indicano che il private equity ha metabolizzato le crisi in corso e ha ripreso l’attività di investimento nell’economia reale a ritmo sostenuto. Dall’altro il livello elevato del numero degli add-on evidenzia che il private equity è un costante motore di sviluppo verso una maggiore e necessaria dimensione di impresa e una più solida presenza sui mercati esteri da parte delle società partecipate».
- Leggi anche: Private equity, nel primo semestre investimenti in Italia per 4,5 miliardi: +40% annuo. I settori con più deal
I fondi internazionali alla campagna d’Italia
Importante segnalare anche il fatto che il 56% delle operazioni di ottobre (un dato superiore rispetto alla media degli ultimi mesi) è stato realizzato da operatori internazionali : segnale del fatto che l’industria italiana è sempre più terreno di conquista per i grandi fondi esteri. Nel corso del mese i buyout hanno realizzato il 71% dei deal, con gli add-on (cioè le aggregazioni aziendali) al 38%. Quanto ai settori più gettonati, ai primi posti compaiono prodotti per l’industria e cleantech , seguiti da alimentare e beni di consumo.
Le principali operazioni del mese
Entrando nel dettaglio delle singole operazioni, degno di nota l’ingresso di Permira , attraverso il fondo Growth Opportunities II, nel capitale di K-Way, con una quota del 40%. Valore del deal: circa 190 milioni, con la società del gruppo Basicnet che è stata valutata 505 milioni.
Altra operazione rilevante è stata quella che ha permesso di consolidare la partnership strategica tra Numia, Banco pm, Gruppo Bcc Iccrea e Fsi per portare alla creazione del secondo player italiano nel settore della monetica. Il rapporto Pem in particolare censisce la quota di Fsi, il fondo di Maurizio Tamagnini, che sfiora il 43%.
Degno di nota infine l’attivismo del fondo Patrizia , che ha completato l'acquisizione di una quota del 40% in Greenthesis, società italiana di gestione e recupero dei rifiuti, cui è stato attribuito un valore azionario di 340 milioni. (riproduzione riservata)
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Smeraldo dell'Aga Khan da record, all'asta per 9 milioni dollari
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GINEVRA , 12 novembre 2024, 22:25
Redazione ANSA
© ANSA/EPA
Un raro smeraldo quadrato da 37 carati di proprietà dell'Aga Khan è stato venduto oggi all'asta a Ginevra per quasi nove milioni di dollari, diventando la pietra verde più costosa del mondo. Venduta da Christie's, la spilla di diamanti e smeraldi di Cartier, che può essere indossata anche come pendente, detronizza un gioiello della maison Bulgari, che Richard Burton aveva regalato come regalo di nozze a Elizabeth Taylor, come il gioiello di smeraldo più prezioso. Nel 1960, il principe Sadruddin Aga Khan commissionò a Cartier di incastonare lo smeraldo in una spilla con 20 diamanti taglio marquise per la britannica Nina Dyer, con la quale fu brevemente sposato. Dyer poi mise all'asta lo smeraldo per raccogliere fondi per gli animali nel 1969. Fu acquistato dal gioielliere Van Cleef & Arpels prima di passare qualche anno dopo nelle mani dello statunitense Harry Winston, soprannominato il "re dei diamanti". "Gli smeraldi sono di tendenza in questo momento, e questo soddisfa tutte le aspettative", ha affermato Max Fawcett, responsabile della gioielleria Emea di Christie's. "Potremmo vedere uno smeraldo di questa qualità messo in vendita una volta ogni cinque o sei anni." Il precedente detentore del record, anch'esso tempestato di diamanti, è stato aggiudicato a New York per 6,5 milioni di dollari all'asta di parte della rinomata collezione di gioielli della leggenda di Hollywood Elizabeth Taylor.
Riproduzione riservata © Copyright ANSA
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